Previdenza
di Patrizia Maestri
Il Reddito di Cittadinanza affida un ruolo centrale all’avviamento al lavoro come risolutivo per superare la condizione di povertà, senza tuttavia tenere in considerazione il fatto che già oggi molti lavoratori sono poveri
Politiche attive del lavoro e rafforzamento dei centri per l’impiego sono indispensabili per tutte le persone in cerca di lavoro e per rendere efficace l’incontro domanda/offerta di lavoro.
Le politiche attive devono rappresentare un livello essenziale di prestazione per tutti gli utenti e non per i soli percettori di Reddito di Cittadinanza.
Sono strumenti previsti dal RdC ed è sicuramente positiva questa nuova attenzione dedicata ai Centri per l’Impiego e all’aumento delle loro dotazioni organiche, ma, come peraltro messo in evidenza dal monitoraggio Anpal dello scorso anno, è bene evidenziare che già le funzioni previste dal Dlgs 150/15 non sono garantite in modo uguale su tutto il territorio e per tutte le funzioni.
Inoltre un ampliamento davvero significativo dell’utenza dei centri per l’impiego, potrebbe porre a rischio concreto di “effetto spiazzamento” gli altri utenti non beneficiari del RdC.
Molto grave la previsione che l’assegno di ricollocazione, che riteniamo una buona pratica di politiche attive, venga sospesa per tre anni per i disoccupati ordinari a favore dei soli beneficiari del RdC, in quanto entrambe le platee hanno spesso necessità simili per collocarsi o ricollocarsi, altrimenti anche qui si rischia una contrapposizione tra poveri oltre alla diminuzione di una politica attiva che deve decollare e non essere congelata.
Ma oggi c’è urgente bisogno di rafforzare lo strumento di sostegno al reddito rappresentato dall’attuale sistema di ammortizzatori sociali che, se da un lato ha ampliato la platea dei beneficiari, dall’altra ha ridotto le coperture precedenti per una gran parte del mondo del lavoro.
Le richieste del sindacato inserite nella piattaforma unitaria alla base della manifestazione del 9 febbraio vanno in quella direzione: prolungare la durata massima della cassa integrazione straordinaria oltre i 24 mesi nel quinquennio; allargare e sostenere il ricorso al contratto di solidarietà; rendere strutturale la proroga della Cigs per cessazione di attività e per procedure concorsuali; rafforzare la Naspi abolendo il decalage del 3% e potenziandone la copertura per i lavoratori stagionali.
In sostanza, il Governo attraverso il RdC ha eliminato l’unica misura di contrasto alla povertà che avevamo, il Rei e nella confusa ansia di raggiungere gli obiettivi ambiziosi di “eliminare” la povertà e ridurre la disoccupazione con un unico strumento, il Reddito di cittadinanza rischia di diventare una occasione mancata invece di una importante opportunità di sostegno alle persone più deboli.
Vale la pena di ripercorrere un po’ di storia dei tentativi di creare misure contro la povertà. La prima esperienza di una misura nazionale contro la povertà in Italia risale nel 1998 su iniziativa della ministra della Solidarietà Sociale Livia Turco.
Venne introdotto in via sperimentale il Reddito Minimo D’Inserimento in 39 comuni italiani, 6 al Nord, 11 nel centro e 22 nel mezzogiorno. Circa 26.000 tra famiglie e singole persone con un reddito non superiore alla soglia di povertà ricevettero un contributo per uscire dalla povertà e dall’esclusione sociale.
La sperimentazione evidenziò l‘importanza dell’accertamento reale del reddito e la necessità che l’Rmi non fosse confuso con uno strumento per favorire l’occupazione e quindi non come sostitutivo agli ammortizzatori sociali .
Oggi, l’Rmi fa parte del nostro ordinamento in quanto previsto dall’art 328/2000, mentre l’art 28 della medesima legge prevede programmi d’intervento contro le povertà estreme.
Il Reddito minimo di Inserimento è stato abbandonato dai governi successivi del centrodestra e solo nel 2017, con il decreto legislativo 147 del Governo Gentiloni, è stata introdotta una prima misura concreta , nazionale di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale , il REI seppur insufficiente nel finanziamento.
Nel dibattito politico, anche in quello della sinistra, si tende a collegare la povertà e l’impoverimento alla recente crisi economica dimenticando le forme storiche della povertà: le famiglie numerose del Mezzogiorno, gli anziani soli nelle grandi città, la povertà minorile, e si ritiene che si possa affrontare il problema con le politiche generali partendo dal lavoro.
In questa impostazione si riconduce la causa della povertà alla mancanza di lavoro e di reddito ma non si considerano le povertà legate alle condizioni di fragilità delle persone o di esclusione sociale.
Il nuovo Reddito di Cittadinanza del decreto 4/28 gennaio 2019 assorbe i finanziamenti destinati al Rei, con un incremento di circa il triplo e nasce con il duplice scopo di contrastare la povertà e garantire il diritto al lavoro. Due obiettivi che possono risultare complementari ma che non possono essere raggiunti con gli stessi strumenti e quindi una sola misura potrebbe non essere in grado di ottenere entrambe gli obiettivi con efficacia.
Il Reddito di Cittadinanza affida un ruolo centrale all’avviamento al lavoro come risolutivo per superare la condizione di povertà, senza tuttavia tenere in considerazione il fatto che già oggi molti lavoratori sono poveri.
Spesso si parla di povertà legata a mancanza di istruzione, formazione, competenze che indirizzano al lavoro di qualità e alla inclusione sociale.
È quindi necessario collegare una misura di sostegno al reddito al tema della qualità della offerta di lavoro, del modello di sviluppo economico, dagli investimenti sul sistema di istruzione e per l’apprendimento permanente, tutte tematiche su cui non ci sono state finora le scelte politiche necessarie.
Ma anche il problema di impoverimento (povertà relativa) di una fascia di popolazione, che pure ha un lavoro, anche autonomo o professionale, o una pensione, andrebbe affrontato attraverso delle politiche che rafforzino le tutele sociali delle persone in termini di accesso ai servizi con costi ridotti, garanzie per avere una quantità dignitosa di orario e di salario sul lavoro, garanzia di equo compenso per il lavoro professionale, ampliamento di strumenti quali la quattordicesima mensilità.
Né si può dimenticare che, dato il consistente aumento del part-time involontario, il reddito di cittadinanza potrebbe rivelarsi un ulteriore incentivo per le imprese a offrire “lavoretti” pagati poco (part-time o stage) ma integrabili con il sussidio, un fenomeno simile a quello dei “mini-jobs” che si sono diffusi in Germania.