Diritto · Salute e sicurezza
di Federica Sanna
Una recente causa davanti alla Corte di Giustizia apre il dibattito sulla necessità di modificare la Direttiva europea: da protezione della salute e sicurezza delle lavoratrici gestanti e puerpere alla più ampia conciliazione tra vita professionale e familiare
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea si trova ad affrontare un caso che, ancora una volta, la porta ad interpretare la portata della Direttiva 92/85/CEE, che regola la protezione della salute e sicurezza delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento.
Il caso: Jessica Possas Guisado è una lavoratrice incinta che perde il suo posto di lavoro in seguito al procedimento di licenziamento collettivo attuato dalla spagnola Bankia SA. Dopo aver perso la causa presentata in Spagna, il giudice d’appello si rivolge alla Corte europea per stabilire la conformità del licenziamento con le disposizioni comunitarie.
La direttiva citata vieta il licenziamento delle donne in gravidanza, salvo “casi eccezionali non connessi al loro stato”. D’altra parte, la direttiva sui licenziamenti collettivi definisce gli stessi come licenziamenti causati “da uno o più motivi non inerenti alla persona del lavoratore”. L’avvocato generale sottolinea come le diciture non possano essere equiparate a causa della diversa portata delle due norme: se la direttiva sulla maternità insiste sul carattere di eccezionalità del licenziamento delle lavoratrici interessate, la direttiva sul licenziamento collettivo, al contrario, mira a tutelare i lavoratori da una situazione che avviene tanto frequentemente da richiedere un intervento normativo. Di conseguenza, il licenziamento collettivo non può essere invocato come giustificazione al licenziamento di una donna in gravidanza.
Sebbene si possa esprimere una certa soddisfazione per la posizione non scontata assunta dell’avvocato generale, che interpreta la norma in senso favorevole alla lavoratrice gestante, l’emergere di un nuovo contenzioso in merito evidenzia la necessità di intensificare la portata della tutela espressa dalla Direttiva europea. L’obiettivo è duplice: aggiornare una materia che non viene regolata dai primi anni novanta e ampliarne la portata: la semplice, per quanto opportuna, attenzione sulla salute e sicurezza non ha permesso di raggiungere traguardi più ambiziosi, quali la parità di genere nel mercato del lavoro, l’incremento delle opportunità professionali per le donne e il coinvolgimento degli uomini nella divisione delle responsabilità familiari.
La prima proposta di modifica della Direttiva 92/85 risale al 2008. Gli elementi principali, sorti dalla consultazione con le parti sociali, riguardano l’adozione di misure volte a favorire la conciliazione della vita professionale e la vita privata e familiare. Tra queste, particolare attenzione è stata rivolta alla durata del congedo di maternità, argomento di scontro che ha portato allo stallo e al successivo abbandono della proposta.
Cosciente della necessità di regolare la materia in un delicato contesto socio-economico come quello attuale, la Commissione ha ripreso l’iniziativa nel 2017, nell’ambito della realizzazione del “Pilastro sociale” previsto dalla strategia Europa 2020. I sindacati, coinvolti nel processo grazie al sistema del dialogo sociale, lavorano in particolare per l’estensione del congedo di maternità, l’aumento di durata, retribuzione e protezione contro il licenziamento, la costruzione di una normativa comune in materia di congedo di paternità e per i prestatori di assistenza e il diritto di chiedere modalità di lavoro flessibili.
Il coinvolgimento delle parti sociali è di fondamentale importanza nel definire un rinnovato quadro normativo volto alla promozione della partecipazione delle donne nel mercato del lavoro: il clima di difficoltà e diffidenza, che attualmente previene le Istituzioni europee dallo svolgere un’azione efficace, può essere superato soltanto tramite una maggiore apertura del processo decisionale nei confronti delle parti interessate. Allo stesso modo, non possiamo lasciare che siano le sentenze della Corte di Giustizia a sancire la portata della tutela dei diritti sociali. Al contrario, è necessario un intervento normativo capace di investire sul valore dell’Europa sociale e, nel far ciò, valorizzare il coinvolgimento dei rappresentati dei lavoratori.
Federica Sanna
è studentessa in Studi Giuridici Europei, Lavoro&Welfare Piemonte