I numeri dell’occupazione: non è tutto stabile quel che lo sembra
Questo Report del Centro Studi di Lavoro&welfare e di Studio Labores presenta analisi ed elaborazioni, su dati Eurostat, Inps, Istat aggiornati a settembre del 2024, sull’andamento dell’occupazione in Europa e in Italia.
INTRODUZIONE

di Cesare Damiano

Questo Rapporto, curato per Lavoro&Welfare e per lo Studio Labores da Bruno Anastasia, ci offre il punto sull’andamento dell’occupazione, aggiornato a settembre 2024, nell’ambito dell’Unione Europea e in Italia.
Vengono presentati e messi a confronto sia dati grezzi che destagionalizzati sul procedere dell’occupazione, disaggregati tra lavoro dipendente permanente, a termine e indipendente.
E ciò è importante perché, altrimenti, i numeri assoluti, non analizzati in profondità e decontestualizzati, rischiano di dare un’immagine edulcorata e semplicistica della realtà. Un’analisi più profonda e, al tempo stesso, leggibile, è il compito che ci siamo dati nella concezione dei nostri Report; questo sul mercato del lavoro come quelli sulla Cassa integrazione guadagni.
L’occupazione in Italia aumenta in modo indiscutibile: siamo a 24 milioni di persone impegnate. È il dato più alto da quando, nel 1970, è iniziata la rilevazione statistica sulla forza lavoro. E mostra che siamo andati oltre il recupero sul periodo pandemico, superando i livelli del 2019. Ma se allarghiamo lo sguardo al contesto europeo, scopriamo che quel 62% di occupati, registrato nel secondo trimestre 2024, è ben lontano dalla media europea del 70,8% e ancor più dal 77,6% di occupati in Germania. Se poi rivolgiamo lo sguardo all’occupazione femminile, le donne rappresentano poco più del 42% del totale degli occupati. Non certo un buon risultato per un’economia avanzata.
E se dal sesso ci spostiamo alle classi di età, l’occupazione dei giovani tra 15 e 24 anni si ferma in Italia a uno striminzito 19,7% a fronte di oltre il 51 per cento della Germania.
Considerando l’orizzonte geografico del totale degli occupati tra i quindici e i 64 anni, scopriamo che il Mezzogiorno si ferma a poco più del 49 per cento, molto al di sotto delle altre macroaree del Paese.
Ma ci sono altri valori sui quali posare la nostra attenzione. Se è vero che cresce l’occupazione a tempo indeterminato e diminuisce quella a tempo determinato e quella indipendente, c’è un altro fenomeno da tenere in massimo conto: la dinamica delle ore lavorate per macro-settori ci rivela uno spostamento strutturale dell’economia italiana verso il terziario mentre il manifatturiero regredisce. Infatti, se le ore lavorate nel terziario, nel secondo trimestre 2024 sono superiori del 6% al livello del secondo trimestre del 2008, la contrazione nell’industria, rispetto a quello stesso anno, è di circa il 19%.
E quelle del terziario sono le attività nelle quali si annida maggiormente, oltre al nero, il lavoro a tempo, lo stagionale, il part-time, che è talvolta finto, e le partite Iva che non sono realmente tali. La conseguenza, ovvia, è una diffusione del sotto-salario. La crescita della stabilità del lavoro è, perciò, in parte più apparente che concreta.
Dunque, questi e altri dei numerosi dati presentati e analizzati in questo rapporto, ci dicono che lo stato delle cose, nel lavoro italiano, è ben meno rassicurante di quanto si possa credere se ci si ferma alla superficie dei macro-dati assoluti.
Un’ultima considerazione proprio sulle fonti dei dati. Come si evince dalle note al testo che segue, hanno cessato di essere pubblicati alcuni rapporti della Banca d’Italia, dell’Anpal e del Ministero del Lavoro. E questo, in un tempo nel quale i dati si vanno, complessivamente, moltiplicando e facendo sempre più profondi se si vuole mantenere una capacità di analisi attendibile, è un fatto incomprensibile e, in qualche modo, inquietante.

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