Previdenza
di Anna Giacobbe
L’innalzamento dell’età pensionabile del 2011 e la crisi che ha fatto perdere il lavoro a molte donne over 50 hanno fatto diventare “opzione donna” una alternativa appetibile alla mancanza di reddito
L’innalzamento senza gradualità dell’età pensionabile delle donne disposto, per il pubblico impiego nel 2009 e per il settore privato e autonomo dal decreto “Salva Italia” a fine 2011, ha generato un grave disagio in gran parte delle lavoratrici, sia dipendenti che autonome. Una delle pochissime norme che consentivano l’anticipazione del pensionamento, per altro nata ben prima della “legge Fornero” e a carattere sperimentale, era la cosiddetta “Opzione donna”.
Il suo utilizzo è stato inizialmente molto limitato, anche perché il calcolo con il sistema contributivo di tutta la vita lavorativa previsto per utilizzare Opzione Donna determina in molti casi una decurtazione significativa dell’importo della pensione; e i 60 anni della pensione di vecchiaia erano, fino al 2011, un traguardo raggiungibile. L’innalzamento dell’età pensionabile del 2011 e la crisi che ha fatto perdere il lavoro a molte donne over 50 hanno fatto diventare “opzione donna” una alternativa appetibile alla mancanza di reddito; o anche alla permanenza al lavoro in situazioni in cui la cura di familiari torna ad essere pressante, per non autosufficienza dei genitori o per il baby sitting dei nipotini.
L’Opzione Donna era stata prevista dalla Legge 23 agosto 2004, n. 243 “Norme in materia pensionistica e deleghe al Governo nel settore della previdenza pubblica, per il sostegno alla previdenza complementare e all’occupazione stabile e per il riordino degli enti di previdenza ed assistenza obbligatoria”.
La norma è stata oggetto di Circolari interpretative e di una specifica previsione contenuta nella “manovra” sulla previdenza del dicembre 2011 (legge Fornero).
Le circolari che sono state emanate nel 2012 hanno condizionato pesantemente la possibilità di utilizzare quella opportunità per le donne destinatarie della norma. Di fatto, si riduceva il periodo nel quale le donne interessate potevano utilizzare le opportunità previste dalla sperimentazione. La condizione da assolvere entro il 31 dicembre 2015 (fine della fase di sperimentazione) non era più la maturazione del requisito, ma diventava la decorrenza del trattamento pensionistico: un anno di “finestra mobile” più tre mesi di “aspettativa di vita” (anticipando così di 15 mesi per le lavoratrici dipendenti e di 21 mesi per le lavoratrici autonome il termine entro il quale si dovevano possedere i requisiti richiesti).
Dopo numerose iniziative parlamentari, interrogazioni, risoluzioni, emendamenti ecc., ci sono volute la legge di Stabilità per il 2016 e la legge di Bilancio 2017 per riportare l’applicazione della normativa nei suoi termini giusti, cioè consentire alle donne nate nel 1958 se dipendenti e nel 1957 se autonome, con 35 anni di contributi, di utilizzare il regime sperimentale opzione donna.
Nella legge di Stabilità 2016 per superare l’interpretazione restituiva per quanto riguarda la finestra mobile di 12 mesi, erano stati previsti ben 2 miliardi e mezzo di risorse necessarie per la copertura, per 36.000 donne; un ulteriore stanziamento è stato necessario per superare, con la Legge di Bilancio 2017, l’ultimo ostacolo, quello riguardante le nate nell’ultimo trimestre.
La necessità di prevedere coperture così rilevanti ha impedito, nella scorsa legislatura, di prendere in considerazione la richiesta di proroga del regime sperimentale di Opzione Donna, avanzata dalle donne nate dopo il 1958, se dipendenti, o dopo il 1957 se autonome.
Nel decreto legge n.4/2019 si è disposta una proroga per la quale sono state previste coperture di tutt’altra entità, per ragioni in parte davvero poco comprensibili, in parte dovute al fatto che l’ “asticella” alla quale ci si rapporta è più bassa (la nuova quota 100, anziché i requisiti previsti dalla legge Fornero).
Nella nota che segue sono descritte le caratteristiche della “proroga” e vengono proposte alcune valutazioni sulle ragioni delle diverse, minori, coperture economiche previste per il decreto legge n.4/2019.
Proroga Opzione donna
Il Decreto Legge n. 4 del 2019 ha riaperto i termini del regime sperimentale “opzione donna” alle seguenti condizioni:
• 58 anni di età se dipendenti, 59 se autonome,
• Almeno 35 anni di anzianità contributiva.
La riapertura di termini è riservata alle lavoratrici che abbiano maturato tali requisiti entro il 31 dicembre 2018 e la decorrenza della pensione è successiva al 1° gennaio 2019, trascorsi 12 mesi (18 se autonome) dalla maturazione del diritto.
Rispetto alla norma introdotta dalla riforma Fornero, la proroga di cui all’art. 16 del decreto sembra rinviare, semplicemente, i termini di validità al 31 dicembre 2018, con una lieve modifica del requisito dell’età. Ma non è così.
Infatti l’anticipo pensionistico, introdotto dalla Legge 243/2004 e rinnovato nel 2011 dalla Legge 214/2011, consentiva alle lavoratrici dipendenti di optare per la liquidazione della pensione calcolata interamente con il sistema contributivo con i seguenti requisiti:
• almeno 57 anni e tre mesi (58 a. e 3 m. per le autonome);
• almeno 35 anni di anzianità contributiva.
Nella fattispecie, le valutazioni dell’anticipo, sia a livello individuale che a livello di spesa pensionistica, erano rapportate agli stringenti requisiti di pensionamento previsti per la pensione di vecchiaia:
• 66 anni e 7 mesi per le donne del pubblico impiego;
• 65 anni e 7 mesi le donne dipendenti del settore privato;
• 66 anni e 1 mese le autonome, con almeno 20 anni di contributi, e per la pensione anticipata 41 anni e 10 mesi di contributi, indipendentemente dall’età.
Con questi requisiti, peraltro soggetti agli incrementi della speranza di vita, e tenuto conto del meccanismo delle decorrenze, era possibile anticipare l’uscita per pensionamento fino a quasi sei anni rispetto al primo requisito altrimenti raggiungibile, ossia la pensione anticipata.
La nuova impostazione, invece, va rapportata, come specificato anche nella relazione tecnica allegata al Decreto Legge, agli altri canali di uscita previsti nel decreto stesso, tra cui:
• la cosiddetta “quota 100” che prevede almeno 62 anni di età e 38 anni di anzianità contributiva minima;
• la pensione anticipata con requisito bloccato a 41 anni e 10 mesi di anzianità contributiva, senza i futuri adeguamenti alla speranza di vita fino al 2026.
L’anticipo pensionistico risulta essere, pertanto, pressoché invariato rispetto alla pensione anticipata (a meno che si attui il blocco degli incrementi della speranza di vita); si riduce, invece, fino ad un massimo di 3 anni (compresi i 12 mesi utili per la decorrenza) rispetto alla quota 100.
In conclusione, rispetto alla precedente impostazione, questo meccanismo abbatte il maggior onere per le casse dello Stato per quasi il 50%, in quanto parte delle lavoratrici aventi diritto possono usufruire del canale “quota 100” con conseguente trasferimento del relativo onere.