Il populismo si caratterizza per una trasversalità onnicomprensiva che tiene dentro diverse domande inevase, anche in contraddizione tra di loro; c’è, dunque, da attendersi la più che probabile implosione nel momento in cui dalla rivolta e dalla propaganda si passerà ai fatti
Qualche mese fa scrissi per queste pagine un articolo dal titolo “Si fa presto a dire populisti!”, a seguito del quale ho ricevuto parecchi commenti, considerazioni, contributi e osservazioni anche critiche – delle quali non mi rammarico affatto -. A tutti va il mio più sentito ringraziamento. Alcune osservazioni mi hanno colpito particolarmente, perché hanno centrato alcuni aspetti del populismo che restano aperti e, in una certa qual misura, rappresentano bene la fase attuale del governo gialloverde e perché hanno ragionato sul Governo di centrosinistra guidato da Matteo Renzi.
In particolare:
- Il populismo si caratterizza per una trasversalità onnicomprensiva che tiene dentro diverse domande inevase, anche in contraddizione tra di loro; c’è, dunque, da attendersi la più che probabile implosione nel momento in cui dalla rivolta e dalla propaganda si passerà ai fatti. Le contraddizioni verranno in evidenza, inevitabilmente qualcuno sarà pure contento, ma molti altri, i più, si sentiranno traditi. Insomma, il populismo è destinato a fare i conti con sé stesso;
- Come mai il “populismo” di Renzi, nonostante un immediato successo, in occasione delle elezioni europee del 2013, allorquando il PD a trazione renziana superò la soglia del 40% e sembrava destinato a governare per decenni, durò poco e, dopo la disastrosa avventura del referendum costituzionale, iniziò il suo irrefrenabile declino?
Sono queste considerazioni e domande importanti per due ragioni:
- perché il governo M5S/Lega, nonostante le quotidiane tensioni, dettate dalla diversità di obiettivi che caratterizzano i due movimenti, resiste e procede, con incedere veloce nelle dichiarazioni e negli annunci ma lento e contraddittorio nella realizzazione del “contratto per il governo del cambiamento”, senza perdere molto consenso anche se il M5S registra una forte flessione;
- perché l’illusione renziana ha prodotto nel PD un riorientamento che ha inciso in modo profondo nel corpo e nell’anima del Partito, in qualche modo la parabola di Renzi è stata assorbita e somatizzata dall’intero partito fin dentro il tessuto costituito dai propri militanti.
Che tutto ciò abbia influenzato i destini del Paese è un dato incontrovertibile che è sotto i nostri occhi; vediamo ora perché.
Per tenere insieme consensi contrapposti in un elettorato composito e, per sua stessa natura, di orientamento trasversale – da destra a sinistra – il populismo ha la necessità di individuare un nemico (la vecchia classe dirigente, l’immigrazione, le banche e le assicurazioni, l’Europa degli euroburocrati, la Germania della Merkel ecc.) e di essere allo stesso tempo governo e opposizione, ordine e rivolta. Di volta in volta, data l’impossibilità di conciliare il programma politico e gli interessi rappresentati dalla Lega con il programma politico e gli interessi rappresentati dal M5S, devono interpretare il gioco delle parti, dove se l’uno vuole il colpo di spugna per gli evasori fiscali l’altro si erge a paladino della legalità; o quando l’uno vuole sanare l’abusivismo edilizio, l’altro gli contrappone la volontà di preservare l’ambiente, e così via: TAV Sì/No, inceneritori Sì/No, prescrizione Sì/No ecc.
Su due questioni, quelle di bandiera – Reddito e Pensione di Cittadinanza e pensioni a Quota 100 – seppure ridimensionate, hanno trovato il loro equilibrio, sempre che non arrivi qualcuno che rompe le uova nel paniere – leggi: UE -. Ma proprio l’Unione Europea potrebbe rappresentare la via d’uscita per il gatto e la volpe quando si troveranno in una situazione insostenibile: i perfidi euroburocrati, senza dimenticarci dello spread, potrebbero rappresentare la loro àncora di salvezza, scaricando sull’Europa e sugli speculatori la responsabilità di tutto quello che non hanno potuto e saputo fare. In tal modo Lega e M5S si potrebbero presentare agli elettori più agguerriti di prima e pronti a nuove crociate e nuove battaglie contro i mulini a vento godendo del sostegno popolare.
Ma quando, allora, il Re si presenterà nudo di fronte al suo popolo? Potenzialmente mai, oppure, più empiricamente, appena il popolo ne scoprirà l’inganno. Sarà compito dell’opposizione tutta scoprire i trucchi, in modo credibile e chiaramente comunicabile, e della sinistra (rigenerata) rappresentare un’alternativa solida e una prospettiva in cui credere e per la quale lottare.
Per la sinistra la strada è ancora lunga, perché dovrà superare la delusione del proprio popolo dopo l’illusione renziana. Illusione: perché Matteo Renzi si presentò alle primarie dell’8 dicembre 2013 come il rottamatore dei vecchi arnesi della vecchia politica, l’innovatore de “l’Italia cambia verso”, immagine che mostrò la corda in 1.024 giorni di governo e dopo il disastroso referendum costituzionale del 4 dicembre 2016.
Ricordo, per memoria di tutti, gli slogan della sua campagna per le primarie: bravi vs. raccomandati; cambiare vs. lamentarsi; coraggio vs. paura; futuro vs. conservazione; semplicità vs. burocrazia; la strada vs. il palazzo e gli italiani vs. il cavaliere. Ecco, a ben vedere il linguaggio e gli slogan di allora, in particolare gli ultimi tre citati contengono in modo neppure troppo nascosto il germe del populismo che, nel frattempo, andava montando (ricordo il Malox di Grillo dopo le Europee del 2013). Ma, Renzi poteva contare su un partito, il PD, con solide radici nella storia delle varie anime della sinistra italiana di ispirazione socialdemocratica e del centrismo progressista, dove la democrazia sostanziale e non formale ha sempre svolto un ruolo determinante nel percorso di formazione delle decisioni, e non su un movimento populista e leaderistico. Questo inizialmente ha indebolito molto la sua leadership che strideva con il processo talvolta difficile, lungo e mediato di costruzione delle scelte politiche a cui le formazioni della sinistra democratica si erano formate e avevano operato.
Renzi, l’innovatore e il rottamatore, aveva però catturato l’attenzione di chi, nel bene e nel male, voleva voltare repentinamente pagina, mentre, contemporaneamente, montava sempre più la voglia di rivolta: il rancore dei poveri verso i ricchi; il malessere crescente delle periferie; l’intolleranza verso la corruzione; i giovani, i disoccupati, l’Italia produttiva contro la politica parassita, i palazzi delle Istituzioni nemiche del popolo. Ma, anche il consenso di chi voleva uscirne in avanti, di quel progressismo liberale che vedeva mal volentieri uno stato invadente e rivendicava più libertà e più diritti civili. Dentro quel 40% di consensi alle elezioni Europee c’era tutto questo.
Poi ci fu l’esperienza di governo, l’immagine del rottamatore si affievolì, ma restò forte quella dell’innovatore e del riformatore; di un riformismo radicale senza se e senza ma. Lancia in resta si scagliò contro i corpi intermedi che apparivano hai suoi occhi come ostacoli alle riforme che voleva realizzare.
Se mettiamo in fila le riforme civili, quella sul lavoro e quelle fiscali, come il Jobs Act e la soppressione indiscriminata dell’imposta sulla prima casa, siamo di fronte a riforme importanti, sicuramente incisive, d’impatto e di stampo liberale, che non potevano raccogliere l’unanime consenso del suo Partito. Occorreva perciò cambiare il Partito, per averne uno che rispondesse a quella impostazione leaderistica tipica del suo modo di governare tanto il Paese quanto il Partito, ma anche tipica del nostro periodo storico e di quell’anima populista che contagia, ora come allora, chi più chi meno, quasi tutte le formazioni politiche, in Italia come in Europa.
Ci sono alcuni caratteri del “renzismo” come la tendenza ad avere il rapporto diretto con il popolo attraverso un uso robusto del repertorio retorico, non mediato dai corpi intermedi della società, e la rappresentazione di se stesso come leader carismatico.
Tutto questo ne ha dato l’immagine dell’uomo politico che, finalmente, poteva dare voce e realizzazione a quella voglia di cambiamento che permeava larghi strati della società italiana. La realizzazione più alta della sua opera di riformista è stata senza dubbio la riforma costituzionale, ma il referendum che ne seguì e soprattutto la lunga campagna referendaria, nella quale si chiese agli italiani non tanto il loro giudizio nel merito dei quesiti referendari quanto il consenso/dissenso nei confronti di Renzi, trasformò l’immagine di Renzi da leader popolare in usurpatore del potere, nemico del popolo e tipica espressione della vecchia e corrotta politica.
La parabola aveva compiuto il suo percorso e la mano a quel punto non poteva non passare a quei movimenti veramente populisti, M5S in testa. Il resto è cronaca.
Maurizio Sarti
Lavoro&Welfare Roma. È direttore generale del Fondo Pensione Perseo Sirio