Relazioni industriali
di Gigi Petteni, Segretario Confederale Cisl
È necessario che il sistema politico consideri la coesione sociale e il coinvolgimento dei soggetti della rappresentanza un valore per il Paese e per il suo sviluppo
I giudizi largamente positivi sull’accordo del 9 marzo 2018 fra Cgil, Cisl, Uil e Confindustria su rappresentanza e modello contrattuale hanno fatto dimenticare lo scetticismo molto diffuso che nei mesi precedenti era prevalente fra i commentatori non solo sulla possibilità di definire contenuti significativi e innovativi ma anche sulla capacità delle parti di raggiungere un accordo. Qualcuno aveva anche sostenuto che non c’era più la necessità di fare un accordo e che le relazioni industriali potevano andare avanti anche senza un quadro di riferimento condiviso.
Non siamo mai stati di questo parere e abbiamo sempre avuto la convinzione che proprio le trasformazioni profonde in atto nell’organizzazione del lavoro e nei processi produttivi imponessero invece nuove regole di riferimento e nuovi obiettivi cui indirizzare l’impegno comune delle parti.
Il contesto in cui si svolgono le relazioni industriali è caratterizzato da fattori: economici (ripresa debole e da rafforzare); industriali (sistema produttivo da qualificare e da innovare); sociali (crescita della povertà e necessità di incrementare i redditi); contrattuali (settori in cui è complicato rinnovare i contratti, moltiplicazione degli accordi nazionali, molti dei quali con una evidente natura di dumping economico e normativo nei confronti degli accordi maggiormente applicati); politici (il rilancio, in campagna elettorale, del salario minimo legale). Per questo si è resa necessaria un’opera di sintesi e di indirizzo complessivo e l’abbiamo perseguita con convinzione e tenacia.
L’accordo in sintesi si compone di quattro parti:
- una premessa che descrive le ragioni e gli obiettivi che si vogliono perseguire;
- le regole per la misurazione e il riconoscimento dei soggetti della rappresentanza;
- gli assetti e i contenuti della contrattazione collettiva;
- l’individuazione di alcune tematiche innovative da praticare e diffondere nella contrattazione sia quella nazionale che quella decentrata.
Gli obiettivi dell’intesa sono orientati a governare le trasformazioni del lavoro, favorire la crescita e la creazione di lavoro qualificato, generare un aumento della produttività per permettere una crescita dei salari. È convinzione delle parti che questi obiettivi saranno raggiungibili solo se si attiverà un modello di relazioni sindacali innovativo e partecipativo.
Per contrastare la proliferazione dei contratti e il dumping contrattuale, si riconosce fondamentale arrivare alla piena misurazione della rappresentanza sindacale così come previsto dal testo unico del gennaio 2014, e di quella imprenditoriale per la quale vanno definite – con il coinvolgimento delle altre Associazioni Imprenditoriali – le modalità attuative. La misurazione della Rappresentanza impone di affrontare il tema dei perimetri contrattuali e a tale proposito l’accordo assegna al CNEL il compito di effettuare una dettagliata ricognizione dei perimetri della contrattazione collettiva e della reale rappresentatività dei soggetti firmatari dei Contratti collettivi nazionali di lavoro. Sulla base di questa ricognizione le parti procederanno alla ridefinizione dei perimetri della contrattazione.
L’accordo definisce poi gli assetti e i contenuti della contrattazione collettiva. Si ribadiscono i due livelli contrattuali, nazionale e aziendale o territoriale laddove esista. Il CCNL ha la funzione di regolare in modo universale la condizione di tutti i lavoratori di un settore e per questo definirà un TEM (Trattamento economico minimo) e un TEC (trattamento economico complessivo). Non si tratta di una definizione rigida e schematica, ma di una struttura flessibile e adattabile alle singole situazioni dei settori che lascia spazio alle modalità che le parti riterranno più utili per cogliere le specificità settoriali. Il miglioramento del salario reale non è affidato al solo CCNL ma a tutta la contrattazione, legandosi sempre più ai risultati aziendali e alla valorizzazione delle competenze.
Fondamentale diventa quindi la capacità di estendere la contrattazione di secondo livello, di far crescere il salario di produttività e la partecipazione dei lavoratori. Anche se si poteva essere più incisivi in questa direzione si sono comunque fatti alcuni passi in avanti rispetto alle regole individuate nel 1993.
Infine le parti hanno individuato alcune tematiche innovative da diffondere nella contrattazione e da sviluppare in tutte le loro potenzialità. Queste tematiche, su cui le parti ritengono necessario investire, riguardano: il Welfare contrattuale per sostenere produttività e conciliazione vita/lavoro; la sicurezza sul lavoro per meglio promuovere consapevolezza, prevenzione e formazione in materia; il mercato del lavoro per governare le transizioni lavorative e la qualificazione dei rapporti di lavoro; la formazione per migliorare la creazione di competenze adeguate alle trasformazioni tecniche e organizzative, la partecipazione per rendere efficaci le trasformazioni e il coinvolgimento dei lavoratori nei processi.
I contenuti dell’accordo non sono chiusi e cristallizzati ma per la loro natura sono aperti ad uno sviluppo dinamico, evolutivo e passibile di evoluzioni future. Per questo ora l’accordo ha bisogno di essere applicato e gestito in tutte le sue parti. Per dispiegare le sue potenzialità e permettere di raggiungere gli obiettivi che insieme abbiamo riconosciuto necessari per il miglioramento della situazione del nostro Paese, è necessaria la stessa perseveranza nell’applicazione che abbiamo messo nella sua definizione. E richiede anche che il sistema politico istituzionale faciliti il raggiungimento di tali obiettivi con interventi coerenti e rispettosi di quanto raggiunto fra le parti e consideri la coesione sociale e il coinvolgimento dei soggetti della rappresentanza economico sociale un valore per il Paese e per il suo sviluppo.
Questo testo fa parte di una serie di articoli scritti dai partecipanti al convegno “Cgil, Cisl, Uil e Confindustria: una svolta nelle relazioni industriali?”