Relazioni industriali
di Tiziana Bocchi, Segretaria Confederale Uil
Questa intesa segna la conclusione di un percorso e, allo stesso tempo, l’inizio di un nuovo viaggio per le relazioni industriali nel nostro Paese
Dal modello contrattuale alla rappresentanza, dalle politiche industriali alla formazione, passando per il welfare aziendale e la salute e sicurezza sul lavoro per approdare a forme di partecipazione organizzativa e non solo. Questi i punti cardine dell’Accordo interconfederale sottoscritto da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria lo scorso 9 marzo che, a partire dalle specificità dei diversi settori produttivi, ha voluto tracciare delle linee di indirizzo comuni per realizzare un progetto condiviso per lo sviluppo del Paese. Dal punto di vista contrattuale, in esso, si riconferma un sistema basato su due livelli tra loro complementari: Contratto nazionale e contrattazione decentrata. L’Accordo interconfederale, poi, va a modificare la struttura stessa del salario. Poiché solo facendo ripartire i consumi interni – con essi la produzione e di conseguenza l’occupazione – si potrà contribuire in modo fattivo al rilancio della nostra economia. Ed è proprio su questo presupposto comune che si è basata l’introduzione di TEC (Trattamento economico complessivo) e TEM (Trattamento economico minimo) che corrisponde ai minimi tabellari. Il TEM è l’elemento attraverso il quale bisognerà continuare a difendere il potere di acquisto delle lavoratrici e dei lavoratori attraverso l’IPCA (l’indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi dell’Unione Europea). Il TEC, invece, dovrà contenere tutti i trattamenti economici qualificati come comuni per tutti i lavoratori occupati in un determinato settore, ivi comprese, solo a questo fine, le forme di Welfare (previdenza complementare, assistenza sanitaria), le eventuali quote di produttività erogate a livello nazionale ecc, secondo la disciplina determinata dallo stesso Ccnl. In sintesi, sarà attraverso il combinato disposto di TEM e TEC che le Parti Sociali potranno consegnare a questo Paese una politica salariale espansiva.
L’Accordo si sofferma poi su welfare, partecipazione e formazione/competenze. Per quanto riguarda il welfare contrattuale si prevede che esso deve essere integrativo del sistema pubblico e mai sostitutivo di esso e che nella contrattazione collettiva debbano essere privilegiate le prestazioni di “interesse generale” (previdenza complementare, assistenza sanitaria, tutela della non autosufficienza e welfare sociale). Per quanto riguarda la partecipazione, inoltre, vengono previsti dei percorsi sperimentali non solo per quanto riguarda quella di tipo organizzativo ma anche per quella strategica.
Passando al tema della formazione e delle competenze non possiamo non sottolineare come questo sia un aspetto fondamentale dell’intesa. È necessario, infatti, innalzare l’attuale livello di competenze delle lavoratrici e dei lavoratori per renderli in grado di soddisfare le nuove esigenze dovute ad Impresa 4.0. Proprio in quest’ottica, l’Accordo prevede la predisposizione di un grande piano di formazione e, al contempo, un aggiornamento dell’attuale sistema di certificazione delle competenze. Ultimo, ma non per importanza, tema che l’Accordo affronta è quello relativo alla rappresentanza e rappresentatività affermando che la certificazione deve riguardare anche le Parti datoriali. Questi sono solo alcuni dei contenuti e delle novità previste nell’Accordo del 9 marzo. Come spesso accade, però, seppur importante questa intesa segna la conclusione di un percorso e allo stesso tempo l’inizio di un nuovo viaggio. Dovremo implementare questo Accordo, vigilare sulla sua applicazione, renderlo pienamente operativo: sfide che siamo pronti a cogliere e a vincere.
Questo testo fa parte di una serie di articoli scritti dai partecipanti al convegno “Cgil, Cisl, Uil e Confindustria: una svolta nelle relazioni industriali?”