Welfare State
di Maurizio Merlo
Di fronte all’invecchiamento della popolazione, lo Stato non ha selezionato la spesa per l’assistenza in modo virtuoso
Il Il Welfare è un vanto dell’Europa ma in Italia molte cose non sono andate come avrebbero potuto andare a partire dagli anni 70. Così un sistema di giustizia sociale, nato in Italia per garantire i ceti più deboli, è divenuto inopinatamente fonte d’indebitamento pubblico e di indebolimento complessivo dei servizi, a maggior danno dei ceti sociali meno garantiti.
Ciò è avvenuto nel settore sanitario come in quello assistenziale, nel pensionistico come nell’assistenza agli anziani.
Questa improvvida tendenza ha indebolito davanti all’opinione pubblica la cultura keynesiana e l’attuazione delle sue politiche, assegnando al liberismo una credibilità mai conquistata sul campo da azioni di governo.
Riguardo le politiche per gli anziani, era chiaro fin dall’inizio degli anni 70 quale fosse la linea tendenziale d’invecchiamento della popolazione. Questa era facilmente rappresentabile su un foglio di carta tracciando una curva elementare sugli assi delle ascisse e delle ordinate, ma la ben nota previsione non ha tuttavia indotto lo Stato a selezionare la spesa in modo virtuoso, e detta tendenza mantiene oggi in Italia forti elementi di spreco e irrazionalità.
Vediamo nello specifico le politiche per gli anziani non autosufficienti. Esistono due categorie di anziani non autosufficienti: quelli che necessitano di assistenza in strutture specializzate e che dunque vanno necessariamente ricoverati e quelli che non richiedono ricovero per la natura generica del servizio assistenziale.
Questi ultimi, in totale assenza di motivazioni, sono stati trattati, fin dagli anni 70, come persone da ricoverare; e il ricovero generalizzato ha finito con l’aggravare la spesa pubblica in modo molto consistente.
Qualora il decisore pubblico avesse trattato la materia in modo corretto favorendo, per quegli anziani che non richiedono necessario ricovero, il co-housing e l’assistenza domiciliare, avrebbe ottenuto negli anni il dimezzamento della spesa pubblica. Dette forme di assistenza generica consentono infatti costi pubblici dimezzati, favorendo peraltro scelte utili e apprezzate dagli anziani, quali appunto la co-abitazione e l’assistenza domiciliare. Forme tese al miglioramento delle loro condizioni umane, alla migliore qualità della vita e alla socializzazione; favorendo l’uso appropriato degli immobili di proprietà, valorizzandone l’uso e la conservazione; e, infine, il mantenimento del rapporto con l’ambiente naturale, con i nuclei familiari d’origine, con le relazioni amicali, con i quartieri e le città.
Queste scelte avrebbero consentito un controllo adeguato della spesa pubblica, liberando nel contempo risorse per migliori finalizzazioni, quali:
1. una più mirata assistenza degli anziani non autosufficienti che richiedono rigorosamente ricovero in strutture iper-specializzate; 2. conforme dotazione degli ambienti di ricovero;
3. personale adeguatamente formato;
4. tecnologie e macchinari specializzati;
5. risposta complessivamente adeguata alla domanda del servizio e alla sua qualificazione.
Queste scelte avrebbero altresì consentito un rapporto virtuoso tra pubblico e privato consentendo: investimenti privati mirati a realizzazioni con domanda sociale forte e non adeguatamente assistita; investimenti con margine operativo lordo molto interessante per le Imprese, anche straniere, e conseguente crescita economica; realizzazione di strutture con più corretta finalizzazione del sistema contributivo socio-assistenziale e spesa pubblica complessiva meno onerosa.
Ad oggi, salvo pochi territori regionali o provinciali (penso in particolare a Trento e Bolzano), queste politiche stentano a partire e le tendenze generalizzate vengono confermate:
• la spesa pubblica continua ad aumentare;
• parte del mercato delle RSA (Residenze sanitarie assistenziali) ordinarie arranca tra molte difficoltà. Conseguente il danno alle imprese del settore, in particolare a quelle che, autorizzate dalle Regioni, non trovano investitori o non considerano strategico l’autofinanziamento a causa della fragilità della domanda e dei tempi sempre più lunghi e incerti di erogazione dei contributi ad personam;
• il tutto continua a tradursi in: minori investimenti privati per il settore; danno alle Imprese; inadeguatezza del servizio e tendenza al peggioramento del sistema complessivo.
Maurizio Merlo
è avvocato, networker, saggista